Storia di un declino che deve finire
Tra le motivazioni che hanno portato alla nascita di questo Movimento (che non è un’associazione) c’è anche quella di far ritrovare la dignità perduta del gelatiere artigiano.
Perché perduta?
Perché il mestiere di gelatiere artigiano oggi è diverso da com’era solo 50 anni fa.
All’epoca le gelaterie erano poche e lavoravano principalmente i prodotti del territorio. Per fare il gelatiere era necessario conoscere profondamente gli ingredienti del luogo e le loro qualità. Anche se pochi conoscevano la grammatica del bilanciamento, tutto era legato all’equilibrio delle ricette, scoperte e create con il gusto, le prove e il lavoro di anni, che si chiama esperienza. La conoscenza veniva trasmessa “a bottega” di padre in figlio o da artigiano ad apprendista. Non esistevano le “scuole di gelato” e nemmeno i libri tecnici. Il sapere era spesso trasmesso solo con la pratica e lungo un percorso di anni.
Il lavoro era faticoso e complesso: bisognava prepararsi le basi e i semilavorati per aromatizzare i vari gusti, bisognava conoscere la corretta maturazione della frutta.
Col tempo il mestiere si è trasformato. Grazie alla crescita della domanda e alla visualizzazione degli acquisti che ha portato alla diffusione delle vetrine del gelato, si è creata l’esigenza di fare sempre maggiori gusti, renderli attraenti e colorati e quindi di lavorare sempre di più per soddisfare un cliente esigente e curioso.
Si sente spesso lamentare che in gelateria bisogna starci dalle 12 alle 18 ore al giorno per poter far fronte al lavoro, che il personale costa troppo e spesso guadagna più del titolare, che il costo dei macchinari e delle attrezzature è sempre più alto, così come i costi produttivi legati all’energia e anche agli ingredienti, che nel tempo si sono fatti sempre più sofisticati e complessi. Senza parlare poi dello Stato che tra tasse e balzelli si prende quasi il 70% del poco utile rimasto.
Quindi cos’è successo?
Come poteva il gelatiere affrontare questi cambiamenti lenti ma inesorabili?
Arrendersi e chiudere? Diventare un evasore fiscale? O che altro?
Migliorare la propria vita significa per molti avere maggior tempo per sé stesso e la famiglia, quindi se si vuole (o si è obbligati a) offrire più prodotti e servizi, ecco che si è nella condizione di dover delegare ad altri parte del proprio lavoro e delle proprie competenze (dietro compenso, si intende).
Questa “semplificazione” dei processi ha portato molti a pensare che fare il gelato fosse in realtà molto facile e alla portata di chiunque.
L’industria dei macchinari ha messo a punto qualche innovazione per rendere più semplici anche le operazioni produttive finali. Oggi i mantecatori sono elettronici, hanno tempi di produzione rapidi e chiamano quando il gelato è pronto. Ma tutto ha un prezzo. Se da un lato hanno semplificato la vita del gelatiere sotto il profilo della fatica, si sono presi una buona fetta del suo guadagno. Oggi le macchine mediamente costano molto care e sono concepite più per dare performances legate a velocità, multifunzionalità e semplicità che non a ridurre i costi produttivi o i consumi energetici. Insomma tutto ricade, come sempre sulle spalle del gelatiere, che si vede “costretto” ad essere più imprenditore che artigiano, visto che l’arte del suo mestiere ha finito per delegarla in parte ad altri.
Questa semplicità dei processi, ha portato ad un’impennata delle aperture; un entusiasmo che per anni ha fatto crescere i fatturati dell’intero settore. In verità anche molti gelatieri sono riusciti a fatturare, ma più grazie alle giuste location che non alla qualità intrinseca del proprio prodotto.
Oggi il 95% di chi dichiara che produce gelato artigianale, lo fa usando semilavorati e basi in polvere ad alta grammatura. Tra i maggiori costi figurano il personale, i macchinari, le spese energetiche e gli arredi; la ricerca e sviluppo dei propri prodotti è delegata alle industrie che annualmente fanno mostra di sé nelle grandi kermesse fieristiche con prodotti sempre più “modaioli”. La cultura del prodotto del territorio si è via via spenta in favore del “tutto in ogni stagione”, costi quel che costi, anche in termini qualitativi, purtroppo.
E siamo alla seconda decade del 2000.
Il mercato è diventato preda di imprenditori e investitori, spesso privi di ogni interesse verso la cultura del gelato tradizionale, ma che hanno intuito la forza e la potenzialità del prodotto agli occhi e alle papille ignare del consumatore medio. Hanno cercato di industrializzarne i processi (tanto in gran parte delle gelaterie di fatto i processi sono già semi-industrializzati!), mantenendo però una “fresca” immagine di artigianalità dichiarata; forti del fatto che non c’è regolamentazione e quindi vale tutto e il suo contrario.
Nasce da questa triste situazione di declino l’esigenza di alcuni amanti del “vero mestiere di gelatiere”, di provare ad alzare la testa e dire basta a questo decadimento.
Siamo nel 2014 e un piccolo gruppo di amici gelatieri riunitosi tre anni prima ha iniziato un lento percorso di discussione, confronto, condivisione di idee per poter capire come migliorare questa situazione. La strada è lunga e tortuosa e la pianta cresce lenta, ma speriamo forte e con solide radici.
Gli obiettivi del movimento Gelatieri per il Gelato dovrebbero essere quelli di rendere il mestiere di gelatiere un’occupazione nobile e remunerativa, riconosciuta nella sua arte tecnica e riconosciuta anche per il valore sociale ed economico che può avere a livello locale.
Tornare al rispetto della tradizione non significa “romantica nostalgia”, ma rispetto per il prodotto, la stagionalità, i produttori locali, il gusto.
Tutto questo con l’obiettivo di ottenere anche maggiori guadagni per chi è davvero impegnato in questo nobile mestiere.
Oggi è necessario cercare di sensibilizzare chi ha in mano la tecnologia, ad aiutare il gelatiere al risparmio e all’efficienza produttiva, condividendo gli utili di queste scelte anziché tenersele in gran parte per sé.
Sarà inoltre necessario sensibilizzare chi ci governa a determinare aiuti concreti a chi valorizza i prodotti del proprio territorio e a chi porta la bandiera culturale di un prodotto dalla tradizione centenaria tipicamente italiana. Con facilitazioni fiscali, soprattutto legati all’impiego di personale.
Ecco a cosa dovrebbe servire questo movimento!
Poi ci sarà sempre chi non ha desiderio di cambiare o chi ama il mugugno, chi ha gettato la spugna e si limita a guardare dalla finestra oppure chi, coperto da una foglia di fico, deride colui che esclama che il “Re è nudo!”.
Credo che abbiate ragione, cari Amici del gelato. Intanto imporre di eliminare la dicitura di “gelato artigianale” a chi usa semilavorati o altro è di estrema urgenza. Con il termine Artigianale si intende il fatto che un prodotto è interamente a mano o con macchinari essenziali e che i prodotti utilizzati sono le materie prime ovvero latte, zucchero, uova, frutta ed essenze naturali. Chi intendesse fregiarsi di tale titolo dovrebbe rispettare almeno queste regole. Questa è la base di partenza, a mio parere.
Caro Giuseppe, con Marco Gennuso ed i nostri rispettivi direttivi nazionali Confartigianato e CNA, abbiamo in tutti i modi cercato di realizzare quello che tu proponi. Il problema di fondo è che la Legge Quadro sull’Artigianato da facoltà a chi è iscritto in CCIAA come artigiano e a chi pur non essendolo svolge nella sua attività una lavorazione di tipo artigianale (vedi pubblici esercenti) di definire il proprio prodotto “artigianale”. In merito al come, al dove e al quando non ci sono regole. Se noi gelatieri, sparuto gruppo nel panorama nazionale delle aziende artigiane, volessimo mettere mani alla suddetta legge ci troveremmo, meglio dire ci troviamo, davanti un muro di interessi assolutamente impenetrabile. Abbiamo poi tentato la strada della definizione del prodotto proponendo un marchio STG (Specialità Tradizionale Garantita), ma i “soliti noti” della nostra filiera si sono messi di traverso. Questo anche con il supporto di “maestri preconfezionati” ad hoc, che chiamo volentieri “circensi”.
Abbiamo poi tentato la strada del marchio collettivo (ArtiGelato) legato ad un disciplinare certificato da un ente terzo. Questo è stato realizzato. Ma la sorpresa era dietro l’angolo. Al momento di aderire a questo disciplinare si è aperto davanti a noi “il deserto dei Tartari”.
Tieni presente che il disciplinare ricalca le linee guida del Maestro Luca Caviezel e che ha avuto, su nostra esplicita richiesta, avvallato da Caviezel e da Pozzi.
Aderenti meno di una decina in tutta Italia …….
Amaramente chiudo con questa riflessione: “il vero problema sono gli uomini, non gli ingredienti”. Fintanto che non si ritroverà la dignità perduta le cose non potranno andare che peggio. “Tutti recchioni col culo degli altri” dicono a Roma.
Grazie Loris
per la tua informazione, forse oggi visto la situazione esiste più consapevolezza e magari persone che possono maggiormente sostenere l’iniziativa.
Riprovarci?
Se organizzi corsi di nuoto rischi che vadano deserti.
Poi quando l’acqua arriva al culo qualcuno comincia a pensarci, altri confidano nella siccità e nel bel tempo.
Quando l’acqua arriva alle ascelle anche altri cominciano a pensarci. I più fiduciosi continuano a confidare nel cambio del tempo.
Quando l’acqua arriva alla gola tutti cominciano ad agitarsi e a cercare di nuotare. Ma agitarsi non è nuotare. E’ andare a fondo prima.
Tutto sta a capire quando è il livello è quello di guardia…
Non sempre istruttori e bagnini sono in servizio ….