Partendo dal presupposto che la legge italiana non contempla la definizione di “gelato artigianale”, il movimento GxG ha pensato di trovare una definizione che cercasse di fare un po’ di chiarezza, ma che soprattutto, contemplasse la figura del gelatiere artigiano, senza il quale non può esistere un gelato “artigianale”.
Un tempo la differenza tra gelato artigianale e gelato industriale era piuttosto chiara.
Oggi siamo in presenza di una terza tipologia di prodotto di difficile collocazione poiché non si capisce fino a che punto sia artigianale e fino a che punto industriale.
Si tratta del gelato prodotto con semilavorati completi, formulati e assemblati in buona parte dall’industria, ma proposti in vetrina da “artigiani” spesso INCONSAPEVOLI, che li integrano con acqua o latte, o addirittura che li mantecano così come sono (basi liquide già aromatizzate).
Il gelatiere consapevole e la conoscenza della “materia da plasmare”
La consapevolezza del gelatiere deve partire dalla conoscenza intima degli ingredienti che vengono utilizzati per la produzione di gelati e granite; non soltanto dal punto di vista merceologico e tecnico utile per un corretto bilanciamento dei propri prod
otti. La consapevolezza del gelatiere deve includere le implicazioni nutrizionali e salutistiche di ciò che plasma, poiché in quanto alimento, il gelato artigianale entra nella dieta del nostro consumatore e contribuisce a caratterizzarne gli effetti sul suo organismo.
Il gelatiere consapevole oltre a conoscere gli ingredienti e i suoi effetti, deve essere in grado di comunicare con il proprio cliente le proprie scelte di qualità. Deve essere in grado di utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione, compresi quelli obbligatori come il cartello degli ingredienti, per trasmettere la trasparenza ed aiutare il consumatore a condividere la sua stessa consapevolezza.
Come arrivare a questo risultato?
Da un lato attraverso l’impegno professionale, la formazione continua e lo scambio con colleghi e professionisti del campo alimentare (medici, nutrizionisti, ricercatori e quant’altro). Dall’altro tramite la collaborazione dei propri fornitori seri e selezionati, in grado di condividere le scelte qualitative e di trasparenza necessarie per una comunicazione “onesta” nei confronti del consumatore finale.
Com’è cambiato il concetto di gelateria nel tempo?
La consapevolezza del mestiere di gelatiere artigiano è qualcosa che nasce con il mestiere stesso più di cento anni fa, ma che negli ultimi decenni è venuta a mancare in un numero sempre crescente di operatori. Purtroppo bisogna ammettere che oggi i gelatieri “inconsapevoli” rappresentano la grande maggioranza presente sul mercato.
Per capire come e perché ciò sia accaduto possiamo percorrere brevemente lo sviluppo del mercato del gelato artigianale e del comparto che lo alimenta.
Nel mio libro “Gelato Business” ho messo in luce i quattro assetti organizzativi presenti oggi sul mercato e sviluppatisi storicamente negli ultimi cento anni:
elementare, collaborativo, innovativo e diffuso.
Questa divisione di carattere storico ci introduce nel cambiamento di sensibilità del “gelatiere” che ha accompagnato via via la nascita dei diversi modelli.
- Elementare: si è sempre fatto così, quindi non si cambia!
L’assetto organizzativo di tipo elementare, si caratterizza per un ridotto investimento in strutture e meccanismi operativi di funzionamento. L’artigiano ha un ruolo centrale ed è l’unico punto di riferimento per gli interlocutori dentro e fuori l’azienda. La delega non è contemplata, il titolare decide e comanda; la gestione dei collaboratori si fonda sul rapporto diretto e sulla conoscenza personale, senza ricorrere a metodologie analitiche e oggettive. Nelle scelte aziendali hanno più peso gli aspetti emotivi e sociali che regolano il legame tra il titolare e i suoi collaboratori, che spesso sono i familiari, piuttosto che la razionalità economica. Questa è la fotografia della gelateria tradizionale di “ieri” ed esprime la vera essenza dell’artigiano nel suo approccio diretto alla conduzione e alla produzione. La concorrenza è quasi assente, l’offerta è limitata nel numero di gusti, i prodotti e tutte le lavorazioni vengono effettuate all’interno del laboratorio, l’uso dei “semilavorati” è limitato a ciò che necessariamente non può essere prodotto da sé. Senza il “capo” però la produzione si ferma, per lui non è contemplato lasciare il laboratorio nelle mani di dipendenti ed a volte, l’accesso alle segretissime ricette, è tabù perfino per i familiari ed i collaboratori più stretti.
Qui si fa ciò che si è sempre fatto, nelle stesse modalità e cambiare è assolutamente vietato! Purtroppo la consapevolezza spesso è rinchiusa il un libro di ricette e non viene trasmesso altro alle generazioni successive. Questa è la fotografia dell’artigiano in via di estinzione per la sua incapacità di rinnovarsi e di trasferire la conoscenza e la “consapevolezza”.
2. Collaborativo: mettiamoci insieme, ma ognuno pensi per sé
Lo sviluppo del dopoguerra ha consentito la diffusione di molte attività artigianali. Il gelato si è imposto come prodotto “del tempo libero” tipicamente italiano ed ha avuto un grande sviluppo in termini di offerta nel nostro paese. Questo si è tradotto ben presto in una situazione di forte concorrenza interna – ovvero tra i colleghi gelatieri, spingendo molti artigiani a riflettere sul proprio ruolo imprenditoriale fino ad adottare un assetto collaborativo. Benché la struttura organizzativa spesso sia rimasta di tipo elementare, le continue tensioni derivanti dalla turbolenza del mercato hanno spinto l’artigiano-imprenditore ad individuare opportunità di collaborazione a monte o a valle del processo produttivo. Si è cercato di individuare i fornitori di prodotti semilavorati che potessero aiutare ad ampliare la gamma offerta per poter competere in modo più efficace con la concorrenza esterna (l’industria) ed interna (i colleghi). Al contempo però ci si è resi conto della necessità di saper coagulare gli interessi dei colleghi attorno ad un progetto comune secondo lo slogan “cooperare per competere” in modo da differenziare il proprio prodotto da quello dell’industria. Queste esigenze hanno portato alla nascita delle associazioni di categoria in difesa del gelato artigianale e della professione di gelatiere che però negli anni hanno mostrato i limiti derivanti dall’atavica tradizione di autonomia, individualismo e di personalismo tipica dei loro promotori. In quest’ottica hanno trovato terreno fertile le aziende di semilavorati per gelateria che, se dapprima hanno proposto prodotti industriali di integrazione, come le paste di frutta secca, i nuclei stabilizzanti e poco altro, in seguito si sono attrezzate per offrire l’intera gamma dei prodotti, arrivando a fornire basi ad alta grammatura o addirittura pronte all’uso, sostituendo quasi completamente la scelta degli ingredienti e la natura stessa dei prodotti offerti dai gelatieri. Il boom delle aperture di gelaterie attestatosi tra gli anni ’80 e i ’90 ha portato ulteriore visibilità al settore, trasformandolo in una sorta di eldorado commerciale. Le aziende di semilavorati, grazie anche allo sviluppo delle fiere di settore, hanno iniziato a spostare gli equilibri, con grandi attività di ricerca e di creazione di prodotti nuovi. Molto comune la frase di questi anni pronunciata dai gelatieri: ” Andiamo a vedere in fiera quali saranno le novità dei gusti per la nuova stagione…” Intendendo così di fatto delegare lo sviluppo e la creatività della propria offerta alle aziende di semilavorati, con buona pace della consapevolezza del proprio ruolo di gelatiere.
3. Innovativo: il gelato è una scienza e scientificamente si cerca di farne un business
Negli ultimi quindici anni il settore delle gelaterie ha iniziato ad attirare anche persone altamente scolarizzate in cerca di occupazione. Neo laureati o professionisti alla ricerca di nuovi stimoli e con mentalità più indirizzate all’organizzazione.
Nascono quindi le prime attività di gelateria “innovative” dal punto di vista dell’assetto organizzativo. Gli imprenditori cercano informazioni, fanno piani di business, vanno alla ricerca di formazione professionale.
Proprio per questo cambiamento di attitudine, le aziende di semilavorati e anche quelle che commercializzano macchinari, hanno recepito questa forte richiesta di formazione. Essi hanno compreso prima di altri che esisteva un vuoto da poter riempire con una “formazione professionale” che potesse consolidare il “sistema gelato” che si stava delineando e che vedeva sempre più spesso le aziende di arredi, macchinari e prodotti come protagoniste delle scelte di marketing dei loro clienti “aspiranti gelatieri” poco consapevoli di questo mestiere.
Il gelato è diventato negli ultimi anni il “lavoro rifugio” anti crisi, grazie ad un costante sviluppo dato proprio dalla facilità delle nuove aperture, sempre più spesso organizzate “chiavi in mano” dagli stessi fornitori del settore. È evidente che in tale contesto il rischio è che la formazione possa essere interpretata solo in chiave di business. Il neo imprenditore avulso da qualsiasi legame con i processi produttivi o la cultura del prodotto si affida più o meno ciecamente nelle mani degli “esperti di settore” e potrebbe non vedere come prioritaria la conoscenza profonda dei processi, la scelta delle materie prime di alta qualità, il rispetto delle stagionalità o l’attenzione alla naturalezza degli ingredienti.
Occorre poi denunciare che in questo contesto c’è stato ampio spazio anche per il “gelatiere improvvisato” che, dopo un “corso di formazione” di pochi giorni (che spesso non è altro che una dimostrazione di utilizzo di prodotti e macchinari), acquista il prodotto in busta, lo mette nella macchina, lo espone in una vaschetta e lo mette in bella vista in una vetrina colorata per poterlo vendere nel modo più semplice possibile. Il risultato non può che essere una standardizzazione non solo dei processi, ma anche dei gusti e dell’offerta, che ricalca quella industriale delle merendine e dei prodotti cosiddetti junk food. Una sorta di artigianalizzazione dei prodotti industriali, buoni per tutte le stagioni.
4. Il gelato AG e DG: avanti Grom e …dopo Grom!
I giorni nostri vedono coesistere due nuove tendenze: il fenomeno delle catene ad assetto diffuso e i “gelatieri gourmet”.
La prima categoria è composta dai network e i franchising. In Italia la gelateria in franchising non ha avuto molto seguito in passato, forse anche a causa del forte legame con la tradizione che poneva il concetto stesso di gelateria nell’immaginario del cliente medio in una posizione distante dall’industrializzazione dei processi produttivi. Oggi i tempi sono cambiati, il marketing e la comunicazione riescono ad essere più convincenti di quanto non lo siano gli stessi artigiani nel loro punto vendita. La qualità media dei prodotti, anche quelli semi industriali, è cresciuta molto, perciò il gap tra prodotto artigiano “puro” e artigiano “dichiarato” è sempre più ristretto.
Complice il fatto che ad oggi non esiste una vera e propria definizione condivisa di cosa sia il gelato artigianale di tradizione italiana ed il cliente finale spesso non è in grado di coglierne le differenze. In questa fascia di mercato si stanno inserendo aziende industriali presenti da tempo nel mondo dell’ice cream, ma anche nuovi imprenditori che decidono di affidarsi ad esperti di settore e consulenti, in grado di gestire le fasi produttive di tipo artigianale e di garantire un buon standard qualitativo dei prodotti con la semplificazione o la standardizzazione dei processi. Le gelaterie che nascono da questi presupposti sono delle vere e proprie aziende a struttura tendenzialmente piatta (o diffusa) in cui ognuno ha compiti specifici e coordinati e le relazioni di tipo orizzontale prevalgono su quelle di tipo verticale.
Sempre ad assetto diffuso sono quelle catene di gelaterie seriali a basso costo che si promuovono a lettere cubitali su internet e sulla stampa nazionale. Promettono investimenti bassissimi, talvolta sotto i 10 mila euro, e guadagni altissimi, fino al 700%. È evidente che non si tratta propriamente di gelato artigianale quello che viene proposto all’interno di tali rivendite, ma piuttosto di un mantecato industriale. Si tratta spesso di repliche di concetti simili al fast food che ha fatto la fortuna di Mac Donald e simili, e che vengono applicate al gelato con più o meno le stesse logiche. Ovvero la serializzazione estrema del processo produttivo e di conseguenza dei gusti. L’occhio è solo al fatturato e alla vendita d’impulso. La consapevolezza del mestiere di gelatiere in questo caso estremo è difficilmente contemplata, sia da parte di chi crea il business – anche perché probabilmente non c’è nessun gelatiere al vertice di queste organizzazioni, sia per chi vi aderisce, che in realtà non ha la consapevolezza di giocare il ruolo di dipendente.
Il fenomeno Grom ha portato anche una nuova “consapevolezza” in alcuni professionisti che hanno saputo cogliere i segni di un cambiamento ed una nuova strada possibile: elevare il dolce gelato ad un prodotto di alta cucina. E’ una strada ancora battuta da pochi, ma che promette di far parlare di sé e di cambiare in parte un concetto che ha sempre visto il gelato come il parente povero dei dolci di pasticceria.

Il gelatiere consapevole
Il quadro che ci presenta il mercato è quindi piuttosto desolante, anche se si stanno facendo notare alcuni gelatieri “illuminati e consapevoli” che si pongono in controtendenza.
In cosa si concretizza questa “consapevolezza” che noi GxG vorremmo fosse contagiosa?
Ci piacerebbe che il gelatiere della “Tradizione di domani” fosse:
- Consapevole del valore della cultura che rappresenta l’artigianalità e la conoscenza del mestiere. Un mestiere pluricentenario che l’ondata tecnologica degli ultimi 50 anni sta rischiando di cancellare perché ha cercato in parte di sostituire l’artigiano anziché aiutarlo a migliorare.
- Consapevole del rispetto dovuto al posto in cui viviamo: il nostro pianeta. Quindi attento ai consumi energetici e all’inquinamento.
- Consapevole della necessità di scegliere l’eccellenza e rispettare la stagionalità e il territorio. Questo si traduce nella riscoperta dei sapori “veri” delle cose della natura, colte al momento giusto e trasformate all’istante in cui danno il meglio di sé.
- Consapevole del valore sociale del lavoro di chi coltiva i frutti della terra e di chi collabora all’interno dell’azienda.
- Consapevole del fatto che il proprio mestiere deve rendere dignità sotto il profilo morale ed economico.
- Consapevole che la tecnologia può e deve essere posta al servizio della buona tradizione e non essere più artefice di un sistema che obbliga il gelatiere a lavorare in un solo modo. Quello definito ed indicato dall’industria stessa appunto.
- Consapevole che la chiave del futuro del gelatiere artigiano è anche nell’innovazione dei suoi sistemi gestionali nel rispetto della qualità del prodotto che offre.
- Consapevole che la collaborazione interdisciplinare può elevare la propria professionalità, allargando gli orizzonti e moltiplicando le possibilità di sviluppo.
- Consapevole che senza una mente aperta al cambiamento positivo nel rispetto del mondo non si può crescere e offrire ai propri figli un futuro migliore.
Roberto Lobrano
Caro Roberto
Sono perfettamente daccordo con la tua esposizione, vorrei solamente sottolineare che il mestiere del gelatiere artigiano, sta soffrendo gli stessi eventi che hanno subito tutti gli altri mestieri, come il fabbro, il falegname, perfino il dentista è diventato un franchising, etc.
Tutto sta cambiando è solo chi riesce a gestire in modo efficiente e redditizio l’attività, può sopravvivere.
Dobbiamo abituarci a questo nuovo concetto di business, fondamentate sull’efficienza e sulla gestione
Aziendale.
Il ruolo che oggi ha il consumatore è completamente diverso, oggi dispone di molta informazione ed e tentato a esplorare nuove tendenze, creando una necessità da parte degli operatori di essere unici ed attrattivi e questo alimenta il settore dei semilavorati, che sono preposti a fornire le chiavi necessarie al operatore per credere di essere il miglior gelatiere del mondo.
Oggi il gelatiere oltre a essere artigiano deve essere imprenditore e a volte queste due mansioni sono inesistenti e per questo che ci sono molti improvvisati che screditano il settore creando solo confusione nel consumatore.
Valter Rosso
buongiorno Roberto,mi trovo pienamente in sintonia con ciò che scrive.
Solo una precisazione,mi piacerebbe che il gelatiere fosse consapevole di ciò che Sa E NON Sa fare..ad esempio le paste grasse.
Stiamo demonizzando tutti i semilavorati compreso una onesta pasta di nocciola o pistacchio??
È proprio necessario per qualcuno provare con tristi risultati a farsi in casa una pasta di pistacchi invece di affidarci a chi questo mestiere lo da magari da 5 generazioni..?
Per anni ho lavorato per un azienda di semilavorati ed ho capito che , se voglio fare l’artigiano, il 90% dei prodotti che cercavo di vendere non mi servono..ma ho anche capito che non posso certo produrmi in proprio il cacao,cioccolato e la pasta di nocciola se non con risultati scadenti.
Quindi si ,mi ritrovo nella figura del gelatiere consapevole ma non onnipotente ,e soprattutto consapevole nello scegliere i prodotti migliori e più “onesti”che il mercato e la ricerca ad esso legata mi mettono a disposizione.