Ma cos’è questo gelato artigianale?

Siamo certi che a questa semplice domanda un cliente medio sappia dare una risposta univoca e chiara?

Probabilmente anche la maggioranza di chi produce gelato avrebbe difficoltà a farlo in modo convincente.

Sicuramente il cliente medio oggi non ha i mezzi per capire che differenza c’è tra un gelato industriale o semi-industriale e quello artigianale, proposto in gelateria.

Certo non tutti sentiranno il bisogno di farsi particolari domande quando sono alla ricerca di refrigerio nella calura estiva, anche perché la maggior parte delle persone che vedono il gelato come un semplice rinfrescante dolce e colorato, non sono nemmeno interessate a conoscere tale differenza in quel particolare momento del loro percorso di acquisto.

Ma è anche vero che oggi le scelte di dei clienti si stanno sempre più spostando in un percorso che prevede anche un minimo di “awareness”, ovvero consapevolezza, attraverso la ricerca di informazioni e di condivisione nei propri gruppi sociali. Le decisioni d’acquisto sono condizionate dall’esterno, non solo attraverso la comunicazione istituzionale delle aziende, ma anche, e soprattutto, quella peer-to-peer degli stessi clienti o amici che, tramite la costante connessione e condivisione, influenza e viene influenzata costantemente.

Inoltre il gelato, da commodity stagionale a basso costo, grazie agli sforzi di alcuni pionieri e appassionati, da un po’ di tempo in Italia, sta tracciando un percorso di elevazione a prodotto gastronomico di rispetto. Negli ultimi anni lo abbiamo visto più volte protagonista negli ultimi appuntamenti gastronomici nazionali e internazionali, da Identità Golose al Salone del Gusto e ormai è approdato anche in TV, sdoganato dagli chef televisivi come Alessandro Borghese.

Quindi quella crescente fascia di persone che è più attenta a cosa mangia, o è semplicemente curiosa di sapere ciò che si appresta ad acquistare, dove può trovare le giuste informazioni?

È evidente che le sue scelte di acquisto non sono facilitate in un settore dove sullo stesso piano si trovano prodotti all’apparenza identici (e spesso venduti allo stesso prezzo)ma nella sostanza assai diversi. Alcuni sono frutto della preparazione industriale di ingredienti già pre-pesati e confezionati, da utilizzare senza particolari competenze, mentre altri sono il frutto di esperienza e uno studio diretto di chi lo produce, il risultato di una scelta consapevole degli ingredienti e magari rispettoso del territorio e delle stagionalità.

Tra l’altro la chiarezza in questo settore non sarebbe a solo vantaggio dei clienti, ma anche di quegli artigiani che vorrebbero che fossero riconosciuti i loro sforzi e la loro professionalità nel preparare i LORO prodotti senza confonderli con quelli dell’industria. Magari dopo aver affrontato un percorso formativo ufficiale e riconosciuto (ma forse questo è pretendere troppo!).

 

Quindi torniamo alla nostra domanda e cerchiamo di dare una risposta.

Per quanti clienti è chiara la distinzione fra prodotto industriale e prodotto artigianale?

Intendiamoci: il prodotto industriale puro, quello che si trova nei freezer dei supermercati o dei bar, non è un prodotto da disdegnare, ma semplicemente un prodotto diverso dal gelato “artigianale”; massimo rispetto per il barattolino, per lo stecco o per il cornetto, ma allo stesso tempo è necessario fare una netta distinzione con il gelato fatto da un gelatiere che, a rigor di logica dovrebbe anche avere un prezzo giustamente superiore.

Pochi però si rendono conto che il prezzo di vendita di un Magnum ad esempio è pari al doppio di quello del gelato artigianale di un bravo gelatiere e che, sicuramente, confrontando l’ingredientistica, la differenza non è causata dalla materia prima.

Intanto bisognerebbe dare a quest’ultima tipologia di prodotto il suo nome corretto ovvero ice cream e non “gelato”, poiché definirlo “gelato industriale” è un orribile ossimoro.

Il gelato, nella sua accezione storica, è un prodotto artigianale tipicamente italiano, dove l’abilità dell’artigiano ha ancora una certa importanza. Viene realizzato utilizzando macchinari che gelano la miscela in pochi minuti e richiedono l’intervento dell’operatore per l’estrazione del gelato quando è pronto. Il prodotto viene poi conservato in banchi o vetrine di vendita ad una temperatura di servizio tra i -11° e i -16° C.

Il contenuto medio di aria nel gelato può oscillare tra il 15 e il 35%; essa viene inglobata naturalmente attraverso il movimento dell’agitatore posizionato all’interno dei mantecatori e la sua percentuale (detta overrun) dipende dalla corretta bilanciatura degli ingredienti e dal buon funzionamento del mantecatore che non è dotato di pompa.

Il contenuto medio di grassi nel gelato artigianale può oscillare tra lo zero e il 12%.

La sua produzione è giornaliera o quasi e la sua shelf life strutturale è di pochi giorni, di solito è composto in massima parte da materie prime fresche: latte, panna, frutta, ecc…

La vendita è sfusa ed assistita da personale di servizio e viene effettuata nei bar, nei ristoranti o presso le gelaterie dove solitamente si effettua anche la produzione giornaliera.

Ice cream non è semplicemente la traduzione anglosassone di gelato. Si tratta in realtà di un prodotto diverso dal gelato artigianale ed è sinonimo di gelato industriale, ovvero prodotto in stabilimenti più o meno automatizzati, con freezer a ciclo continuo che inseriscono forzatamente una determinata quantità di aria nel prodotto (che in taluni casi può superare il 110%) e che ha una temperatura di servizio tra i -18° e i -20° C.

Il suo contenuto di grassi è mediamente superiore al 10% e può oltrepassare il 30%.

Viene normalmente confezionato diversi mesi prima del consumo finale e non sempre contiene prodotti freschi o materie prime di alta qualità a causa della necessità di una maggiore conservabilità nel tempo e di un food cost necessariamente molto contenuto.

Lo si trova in confezioni sigillate e dosate nei freezer dei supermercati o nei bar e di solito non richiede un operatore per il servizio, ma può essere acquistato tramite self-service. Essendo prodotto di massa dovrebbe avere prezzi molto più bassi del gelato artigianale (ma non sempre è così).

Esistono comunque diverse tipologie di ice cream; alcune delle quali simulano le strutture e le qualità tipiche del gelato artigianale. Di solito hanno un overrun ridotto ed una grande percentuale di grassi. Una convenzione dell’ice cream definisce un prodotto “premium” in base alla sua elevata quantità di materia grassa. Poco importa se questi sono di origine animale o vegetale.

 

Fino a qui tutto piuttosto semplice.

 

La distinzione diventa più difficile quando il prodotto in questione prende le sembianze di quello tipicamente artigianale. Ovvero quando quello che viene proposto nei banchi di vendita come “gelato” è in realtà “ice cream” mascherato.

Due esempi su tutti la catena “Crema e Cioccolato” che vende un gelato industriale già preparato in vaschetta e Grom (Unilever) che propone un format di tipo artigianale con un prodotto comunque industriale (anche se di fascia alta).

Perché un consumatore non dovrebbe poter riconoscere, da una qualche comunicazione obbligatoria sui punti vendita, di che prodotto si tratta?

Questa differenza oggi non è percepibile in alcun modo, nemmeno dal cartello degli ingredienti (quando esposto correttamente).

L’ultima distinzione (la più difficile da individuare) è fra prodotti pronti, (bustoni di polveri da integrare con acqua o addirittura brick di miscela già pronta da mettere solo in mantecazione) e relativi utilizzatori (o gelatori) e gelati ideati e realizzati da “gelatieri artigiani “.

Oggi il termine “artigianale” viene associato non solo alla ricerca degli ingredienti di qualità, stagionali e del territorio, alla creazione personale delle ricette e allo studio del bilanciamento, ma anche al semplice inserire una miscela pronta in una macchina e aiutare con una spatola a far scendere il gelato in vaschetta.

Spesso in questa situazione il cliente non riesce a percepire le reali differenze se non da pochi segnali o dettagli di “non artigianalità” a cui dovrebbe fare attenzione. Diamone alcuni:

  • La tendenza del gelato in vaschetta a superare le leggi fisiche del freddo svettando per decine di centimetri sopra la linea normale di conservazione (quasi fosse di gesso).
  • Colori particolarmente accesi o palesemente innaturali in alcuni gusti (pistacchio verde brillante, cioccolato nero, fragola rosso sangue,…).
  • Presenza di gusti che replicano perfettamente le merendine industriali di tendenza con i segnagusti brandizzati.
  • Assenza di gusti realizzati con ingredienti del territorio.
  • Strani e lunghi elenchi di additivi, amidi modificati, oli vegetali, coloranti e conservanti nel libro degli ingredienti.

Facendo un parallelo con la ristorazione da fast food il prodotto pronto può essere accomunato a un piatto precotto riscaldato in un microonde, i famosi 4 salti in padella del bar sotto l’ufficio: qualità mediocre ma costante, materia prima a basso costo, marchio riconoscibile, ma riconoscibile anche il fatto che si tratta di un precotto.

L’artigianato vero dovrebbe corrispondere all’approccio tipico della trattoria all’angolo: la qualità non sarà mai standardizzata ma potrà sorprendere nel bene o nel male.

Mentre un precotto congelato al bar è riconoscibile e dichiarato, l’equivalente nel mondo del gelato non lo è. Vale tutto e alle richieste del cliente, c’è chi si trincera dietro un improbabile segreto professionale delle ricette…

Probabilmente anche evidenziare queste differenze in qualche modo aiuterebbe le scelte del cliente consapevole.

 

Concludendo possiamo affermare che è un diritto fondamentale di ognuno di noi conoscere come viene prodotto e trasformato il cibo che acquistiamo. Forse non sono ancora la maggioranza coloro che acquistano consapevolmente, ma sono senz’altro un segmento in forte crescita.

Purtroppo, come abbiamo visto, non è facile capire oggi che tipo di prodotto ci viene proposto in gelateria e, spesso, il libro degli ingredienti (quando esposto) non chiarisce le differenze.

Credo che da cliente, se nel menù di un ristorante non fosse specificato che il prodotto che mi viene venduto è surgelato o precotto, la cosa mi darebbe molto fastidio. Soprattutto non potrei capire se quello che sto acquistando è un prodotto frutto del lavoro di uno chef o di un’industria della conservazione degli alimenti. E comunque il prezzo dei due prodotti a confronto dovrebbe essere significativamente diverso.

Il punto è che il gelato è visto dai più come una commodity da leccare distrattamente in una calda giornata di sole per rinfrescarsi e non come un prodotto alimentare che può essere rappresentativo della tradizione alimentare italiana di qualità. Questo è anche il risultato della standardizzazione in atto da decenni.

Il fatto che il gelato non abbia prezzi differenziati a seconda del gusto (e degli ingredienti), ma che risulti genericamente calcolato in modo forfettario lo pone proprio nella fascia delle commodity. Pensiamo invece a cosa accade in pizzeria: a seconda degli ingredienti che metto sulla mia pizza pago un prezzo (giustamente) diverso. Perché nel gelato questo non accade?

Basterebbe forse creare delle categorie ben chiare nella loro denominazione e lasciare poi al pubblico il diritto di decidere di chi essere cliente di volta in volta.

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